Posted by
Marco Carini
Una visione che nel nostro Appennino
sta inesorabilmente svanendo
Gli indirizzi
del nuovo piano regionale forestale dell'Emilia-Romagna ci costringono ad una
sfilza di codici, sigle, allegati, acronimi...
Tutto per
sentirci ripetere i principi ecologici, paesaggistici, sociali, idrogeologici,
di crescita della biodiversità come rituale obbligato.
In realtà il
succo del discorso finisce per essere tutto sulla legna da ardere, sulla sua
commercializzazione e sulle bioenergie, cioè la combustione di cippato.
Gli
stanziamenti da parte della Regione, infatti, vanno solo lì.
Il
"riconoscimento dei servizi ecosistemici resi dalle foreste" avrebbe
davvero senso se fosse legato ad esempio a fenomeni come l'allagamento della
città per l'alluvione del Baganza, per spiegarne le motivazioni e realizzare
una seria prevenzione, che parte proprio dal bosco e dalle sue capacità di
trattenere le acque meteoriche.
I "servizi
ecosistemici" forniti dai boschi sono essenziali per tutto il territorio.
Rappresentano
la salvaguardia della biodiversità di flora e fauna, la regimazione e
purificazione delle acque, il consolidamento del suolo, la produzione di
legname d'opera e di combustibile, la produzione di eccellenze come i funghi, e
funzionano come luogo di svago, di ricreazione educativa ed estetica, e infine
e soprattutto aiutano la stabilizzazione climatica.
I boschi,
infatti, consentono di fissare nella biomassa vegetale l'anidride carbonica
atmosferica.
Una tonnellata
di CO2 viene sottratta da 18 metri cubi di biomassa legnosa in piedi o
all'impianto, come si dice.
Il patrimonio
boschivo o forestale svolge un'insostituibile funzione di regolazione climatica
che compensa le emissioni dovute all'uso di combustibili fossili prodotti
principalmente nelle zone industrializzate di pianura.
Perché dunque
non porsi l'obiettivo che a questi "servizi naturali" sia
riconosciuto un corrispettivo economico che vada a vantaggio di chi
contribuisce al mantenimento dell'ecosistema, come sostiene da anni
dall'ingegner Massimo Silvestri?
Come abbiamo
visto, coloro che si occupano di foreste, stanno agendo nell'ottica dell'uso
delle biomasse forestali come materia da bruciare in sostituzione dei
combustibili fossili, mentre ciò che importa sempre più per il nostro
territorio è incrementare la funzione di resilienza dei boschi nei confronti
dei veleni della pianura padana.
Ciò che importa
è la quantità di CO2 che viene stoccata nella biomassa, non quella che viene
bruciata.
Le nostre
foreste crescono mediamente di 4 metri cubi all'anno per ogni ettaro boscato.
L'accrescimento
forestale quindi porta alla fissazione di sempre maggior CO2.
Una volta
certificate le risorse forestali perché non venderle come titoli con asta pubblica,
conservando intatto l'apparato boschivo accresciuto? La Regione
Piemonte ha dato notizia nel 2013 dei primi interventi di gestione forestale
che produrranno crediti tra i 30 e i 35 euro per tonnellata di CO2 vantati
dagli operatori forestali, corrispettivi di debiti la cui compensazione viene
richiesta, su base volontaria, dagli operatori economici .
Tali interventi
verrebbero utilizzati per compensare le emissioni di settori industriali
"energeticamente intensivi" ed "obbligati" alla riduzione delle
emissioni: cementifici, inceneritori, industrie metallurgiche, industria
dell'alluminio.
Una
valorizzazione dei crediti di fissazione di carbonio forestale attorno a 35 €/t
di CO2 consentirebbe di compensare il proprietario del fondo con un importo
circa eguale a quello che lo stesso riceve da un'azienda di taglio boschivo.
Con la
differenza che il bosco rimarrebbero in piedi.
Una tonnellata
di CO2 corrisponde circa a 14 tonnellate di legna in piedi che, se tagliata al
prezzo corrente di 6,5 euro/t., darebbe circa 70 euro, cioè il doppio di quanto
verrebbe pagata da chi acquista il bosco per tagliarlo e di cui la metà
andrebbe al proprietario del bosco stesso.
In tal modo si
costituirebbero effettivamente consorzi di proprietari di boschi, ora esistenti
solo sulla carta, in grado di sviluppare una corretta pianificazione delle
utilizzazioni boschive, lasciate ora al taglio selvaggio ed indiscriminato.
I proventi
andrebbero a coprire l'insostituibile funzione ecologica che questi territori
montani, economicamente marginalizzati, hanno nella compensazione degli
squilibri apportati all'ambiente dalle zone industrializzate, restituendo loro
dignità e valore e fornendo una concreto sostegno al loro sviluppo
turistico-commerciale.
Uno scenario
che nel nostro Appennino sta inesorabilmente svanendo.
Giuliano Serioli
26 maggio 2015
Rete Ambiente Parma
perlasalvaguardiadelterritorioparmense
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